Progetto Educativo

Documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche.

Tipologia

Regolamento

Descrizione estesa

Il Piano Triennale dell'Offerta Formativa (PTOF) è il documento fondamentale costitutivo dell'identità culturale e progettuale delle istituzioni scolastiche ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell'ambito della loro autonomia. Il piano è coerente con gli obiettivi generali ed educativi dei diversi tipi e indirizzi di studi e riflette le esigenze del contesto culturale, sociale ed economico della realtà locale, tenendo conto della programmazione territoriale dell'offerta formativa.

IL PROGETTO EDUCATIVO
(PRIMA PARTE)

Lo scopo del Progetto educativo è quello di delineare in termini generali le coordinate o i principi che devono presidiare la collaborazione tra scuola e famiglia, al fine di promuovere la formazione integrale e unitaria degli studenti.

La titolarità del compito educativo e istruttivo nella Costituzione

La prima questione da prendere in considerazione concerne la titolarità del compito educativo: a questo proposito, la Costituzione Italiana fissa in modo chiaro i compiti assegnati rispettivamente alla famiglia e alla scuola in ordine all’educazione e all’istruzione dei minori.
L’art. 30 stabilisce in particolare che: “È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti.”
Per quanto riguarda la scuola, l’art. 33 afferma che “La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.” e, poi, all’art. 34 che “L’istruzione inferiore ... è obbligatoria e gratuita” per tutti gli anni per cui deve essere prevista.
Il dettato costituzionale, dunque, attribuisce esplicitamente il dovere-diritto all’educazione dei figli alla famiglia, mentre riserva alla Repubblica di dettare norme relative all’istruzione e alla sua obbligatorietà; da ciò si evince che titolare in primis dell’educazione dei figli è la famiglia, mentre la scuola si fa carico del processo di istruzione, che per la sua complessità e durata non può essere posto totalmente in carico alla famiglia.
Da queste affermazioni di principio discendono alcune conseguenze, che è bene esplicitare. 

La famiglia: a) non può delegare totalmente ad altri il dovere/diritto educativo, ma deve sempre mantenere il controllo e il governo del processo di cui è titolare; b) nessuno può sottrarle questo primato o imporle scelte educative non condivise, salvo il caso di manifesta incapacità a sviluppare qualsiasi discorso educativo. Tutto ciò vale in linea di principio anche per l’istruzione, sebbene in un senso diverso.
- La scuola: a) non può sostituirsi alla famiglia nel fronteggiare il compito educativo ma può solo sostenerla - ciò significa in particolare che non deve assumere principi e valori non condivisi e non concordati con le famiglie; b) considerato poi che lo specifico della scuola è l’istruzione, la sua azione educativa non può che passare attraverso l’istruzione.

Strategie per la collaborazione famiglia - scuola

Preso atto di questa basilare distinzione dei compiti, è vero però che la questione educativa necessita di una sua collocazione entro una cornice di reciproco aiuto famiglia-scuola.
Tale collaborazione si rende necessaria, sia per il fatto che educazione e istruzione non sono processi separabili con un taglio netto, trattandosi di momenti di uno stesso processo formativo, sia perché determinati problemi educativi si presentano non solo in famiglia ma anche a scuola. Serve, dunque stabilire le modalità di questa collaborazione, anche al fine di evitare incomprensioni, tensioni e situazioni contradditorie.
Dal punto di vista strategico, è convinzione del nostro Istituto che un’autentica collaborazione sia possibile e funzionale solo se, da un lato, si supera una visione troppo frammentata del fatto educativo, che si traduce spesso nella formulazione e proposta di un elenco aperto di educazioni; dall’altro, si trova un accordo a proposito del senso e della finalità generali del processo formativo, di cui l’educazione e l’istruzione sono due momenti.
Detto in altri termini, collaborare non significa concordare un menù educativo più meno ampio e aggiornato, quanto piuttosto condividere l’idea di chi sia, nel profondo, il soggetto da formare e, di conseguenza, come si configura il compito educativo fondamentale su cui famiglia e scuola sono chiamate a lavorare, eventualmente anche attraverso singole educazioni da intendere come variazioni di un unico tema.

Dalla frammentazione all’unità della questione educativa

Da qualche decennio a questa parte si è fatta strada nella scuola la tendenza a moltiplicare le “educazioni”, tanto che ormai si parla correntemente di educazione alimentare, affettiva, sessuale e di genere, socio-relazionale, ambientale e all’ecosostenibilità, civica, interculturale, alla salute, alla pace, alla mondialità, alla legalità, all’imprenditorialità, alla cittadinanza attiva, ecc.; in tutto ciò è sempre più difficile conseguire un punto di vista unitario.
Questa tendenza progressiva alla frammentazione, che alimenta il “mercato delle educazioni”, dipende da diversi fattori quali, ad esempio, la necessità di inseguire le urgenze del momento storico-culturale che si attraversa; oppure il farsi strada, talvolta in modo prepotente, di ideologie che tendono imporre a tutti la propria visione; oppure ancora il desiderio di novità e di seguire le mode educative al fine di apparire ‘moderni’.
Di fronte a tutto ciò, occorre chiedersi se vi sia ancora un pensiero pedagogico autentico e se questo moltiplicarsi e frammentarsi delle educazioni sia realmente utile alla formazione dei giovani.
Rispetto a questo scenario la nostra posizione è decisamente critica: riteniamo, infatti, che più l’educazione si frammenta più l’apporto educativo della scuola si rivela insignificante, non agisce in profondità e si traduce in un apporre etichette fallendo il proprio compito. Se non si va al cuore del problema ciò che si otterrà saranno solo frammenti di educazione, mancanti di un riferimento unitario che renda il tutto coerente.
Ma in cosa consiste questo riferimento unitario? Per essere autentica l’educazione necessita di una visione antropologica, ossia di un’idea ben definita di come si debba intendere il soggetto dell’educazione, ossia l’essere umano e il senso del suo esistere.
Dato che l’educazione è il lavoro che mette in opera questa visione, se cambia il modo di pensare l’essere umano cambiano anche il senso, le finalità e i modi dell’educare: in effetti, se si parte da una visione antropologica “transumanista” o se ci si muove nella prospettiva del “nuovo umanesimo” per un mondo globale, si agirà sul piano educativo in modo coerente con l’una o l’altra visione; se poi si pensa sia giusto inseguire le urgenze del momento e il mutamento delle mode educative, si agirà in un altro ancora.

La centralità dell’idea di persona

Per quanto ci riguarda, se l’educazione vuole essere realmente profonda e autentica, deve concepire l’essere umano come “persona”, con tutto ciò che ne segue per quanto concerne il senso del suo esistere.
Il concetto di persona ha radici profonde nella tradizione greco romana, ebraica e poi cristiana, ed è stato lungamente elaborato nel corso dei secoli in ambito filosofico, antropologico, giuridico e persino teologico. Secondo questa prospettiva non si diventa persone, ma lo si è da sempre e per sempre; la persona rappresenta infatti la pienezza e la verità di ogni essere umano; perciò, ciascuno, quali che siano le condizioni concrete di vita, dove pensarsi e vivere riconoscendo a sé e agli altri la dignità di persona.
Dato che non possiamo accontentarci di indicazioni così generiche, occorre a questo punto chiarire quale sia il nucleo più intimo e costitutivo di ogni persona, vale a dire ciò che rende tale una persona. Tale nucleo è da ravvisarsi nella libertà: la persona nella sua essenza è libertà sempre in atto, come un’acqua viva che sgorga in continuazione - paradossalmente persino un prigioniero non cessa di essere libero quanto alla sua essenza.
Che cosa sia poi la libertà è una questione che richiede qualche precisazione.

1. La libertà personale è radicata nel reale, ossia trova il proprio fondamento nella natura, nel corpo/mente, nella società e relativa cultura e storia (anche nel trascendente per i credenti). Dire che la libertà è radicata significa affermare che non è assoluta ma condizionata, nel senso che si è liberi a partire ed entro determinati limiti e vincoli.
2. La libertà personale è apertura al possibile, un’apertura che si fa strada e si delinea a partire dai nostri radicamenti, dalla natura, dal corpo/mente, dalla società, ecc. Così come ha una provenienza, la libertà ha una destinazione: noi abbiamo sempre davanti alternative possibili, le quali talvolta si presentano da sé, altre volte richiedono di essere immaginate e cercate a fatica.
3. La libertà personale si esercita come scelta o decisione tra i possibili, che si delineano a partire dai nostri stessi radicamenti. Quello della decisione e della scelta è forse il momento più alto della libertà ed è importante osservare che ogni scelta, proveniente dal nostro passato, è tensione verso un futuro da realizzare mediante l’azione.
4. Da ultimo ogni decisione e scelta, nel momento in cui si traduce in azione effettiva, implica assunzione di responsabilità da parte della persona circa le conseguenze della propria decisione e agire, nei confronti di sé, degli altri, della natura, della società e cultura.

Alla luce di quanto evidenziato si comprende che pensarsi e vivere come persone comporta il rispetto di alcune condizioni: la conoscenze e la consapevolezza del proprio radicamento nella natura, corpo/mente, società, storia, ecc.; la capacità di vedere le aperture che si offrono a partire dai nostri stessi radicamenti; la determinazione nell’esercizio della scelta e dell’azione realizzativa; l’assunzione di responsabilità rispetto alle scelte effettuate e alle azioni, per le molteplici conseguenze e ricadute che necessariamente portano con sé.

Il compito educativo fondamentale

È appena il caso di ricordare che la visione antropologica tratteggiata configura per noi un compito educativo fondamentale, comprensivo di ogni altro: un compito che non consiste, come si potrebbe credere, nel promuovere la libertà come valore, vale a dire inseguire la molteplicità delle istanze di libertà storicamente emergenti (di opinione, politica, di scelta di vita, sessuale, ecc.), quanto piuttosto nel promuovere la libertà come essenza della persona, senza la quale non potrebbe neppure esistere la libertà in quanto valore.
Dal punto di vista pedagogico, si tratta in sostanza di guidare ciascuno a pensarsi a partire dalla propria libertà e a vivere secondo questa essenza, assumendola e avendone cura. In tutto ciò non vi è nulla di retorico: se la libertà non è contingente, ad essa non si può sfuggire; la libertà non ci lascia mai in pace, non ci possiamo sottrarre alla fatica di essere liberi, siamo sempre costretti a prendere posizione, anche se talvolta può sorgere il desiderio di delegare le nostre scelte.
In sintesi, questo compito educativo consiste nell’aiutare ciascuno ad uscire dalla sfera pulsionale e desiderante, per arrivare all'esercizio pieno della libertà. Educare significa condurre fuori dallo stato di necessità per entrare nel “regno della libertà”, che non è il regno dell’arbitrio.
A partire da questo compito educativo fondamentale bisognerà considerare, intanto, come possa articolarsi in compiti educativi più specifici; in secondo luogo, come possa questa visione incidere sul modo di impostare il clima relazionale, le interazioni quotidiane e l’attività didattica nel suo insieme. Del primo aspetto ci occuperemo in questa sede, demandando al PTOF, ossia al documento che delinea i caratteri dell’offerta didattica. Le ulteriori questioni.

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